10 aprile 2008

Sei la spada non la mano

Sei la spada non la mano.

Da mantenere, solo

il filo tagliente,

immaginare

ogni dettaglio

che serva a questo

segno di spada.

Sei la spada non la mano

Non è nel polso

Che segue i cerchi

Della mia punta nell’aria

Che sta la mia responsabilità

Sta non nelle carezze

Che il suo piatto conosce,

non dove si incastra,

tra ossa e muscoli:

non è mia quella forza,

la forza che mi ha conficcato

tra le lastre fino all’elsa,

non era mia neanche

la diversa natura di quella possenza,

Quello che

Libera la lama dalla terra,

Che impedisce, solo,

a ogni suono

di avere aura per vibrare.

Sei la spada non la mano

Non il pugno chiuso che

Rende inafferrabili da altri,

sprezzando la ruggine di acquitrino.

Né ricorda la spada

Chi forgiò

In un unico insieme

Leghe diverse,

la sua durezza e flessibilità

lucenza e bellezza,

in un unico gesto

si fusero cose diverse

per mai più riconoscersi

come distinte: non fui io

Affilare

Fendere l’aria

Toccare;

Affondare nel ventre

sembra alla punta della spada

l’essere giunta

in un luogo chiuso

buio

sporco

inutile. Ma la mano sa

quando finirò l’affondo,

mi pulirà con un panno, dopo,

e dell’acqua:

issarmi al sole.


Halvhari

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