Sei la spada non la mano.
Da mantenere, solo
il filo tagliente,
immaginare
ogni dettaglio
che serva a questo
segno di spada.
Sei la spada non la mano
Non è nel polso
Che segue i cerchi
Della mia punta nell’aria
Che sta la mia responsabilità
Sta non nelle carezze
Che il suo piatto conosce,
non dove si incastra,
tra ossa e muscoli:
non è mia quella forza,
la forza che mi ha conficcato
tra le lastre fino all’elsa,
non era mia neanche
la diversa natura di quella possenza,
Quello che
Libera la lama dalla terra,
Che impedisce, solo,
a ogni suono
di avere aura per vibrare.
Sei la spada non la mano
Non il pugno chiuso che
Rende inafferrabili da altri,
sprezzando la ruggine di acquitrino.
Né ricorda la spada
Chi forgiò
In un unico insieme
Leghe diverse,
la sua durezza e flessibilità
lucenza e bellezza,
in un unico gesto
si fusero cose diverse
per mai più riconoscersi
come distinte: non fui io
Affilare
Fendere l’aria
Toccare;
Affondare nel ventre
sembra alla punta della spada
l’essere giunta
in un luogo chiuso
buio
sporco
inutile. Ma la mano sa
quando finirò l’affondo,
mi pulirà con un panno, dopo,
e dell’acqua:
issarmi al sole.
Halvhari
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